Programmare un figlio? Al massimo entro agosto

Agli antipodi c’è anche la pianificazione della gravidanza stessa- che riguarda però generalmente le mamme che vogliono avere un secondo o terzo figlio, già esperte di calendari, bandi e piccoli accorgimenti strategici di cui le primipare sono completamente digiune, a meno che non abbiano un’amica o una sorella che ha partorito da poco (e che non tema la concorrenza che il futuro pargoletto potrebbe fare al suo dato il ristretto numero dei posti  disponibili: in questo campo è la legge della giungla a farla da padrone!!). E giù a calcolare che dati i 9 mesi della gestazione, un figlio va concepito al massimo entro agosto se non si vuole rischiare di precludergli l’accesso al nido con le relative difficoltà che ciò comporterebbe alla mamma nel rientro a lavoro. Passato agosto, il tutto va rimandato all’anno successivo.

Certo tutto questo vale per chi non ha la fortuna di avere nonni a disposizione- perché, si sa, i genitori sono l’unico vero welfare dei trentenni e quarantenni di oggi. E, ancora, ovvio, vale solo per chi non può permettersi di richiedere dopo i cinque mesi di astensione per maternità (in cui la retribuzione prevista è all’80% dello stipendio normale) il congedo parentale (con cui la paga scende al 30%); e, infine, non guadagna così tanto da spendere interamente il suo stipendio mensile nella impietosa retta di un asilo nido privato o di una babysitter fissa. Ma guardando ai dati di oggi sembra che i nidi comunali rappresentino il principale servizio per la prima infanzia a cui le lavoratrici italiane aspirano.

Oggi si sente tanto parlare delle difficoltà connesse al lavoro di cura, sia degli anziani (che vivono sempre più a lungo con conseguente aumento del bisogno di assistenza) che dei  figli (che stanno in casa tempi sempre più ampi richiedendo impegno e attenzione), del fatto che la dilatazione dei tempi della formazione e dell’ingresso nel mercato del lavoro spinge a ritardare le scelte procreative , e delle discriminazioni che nonostante tutto le donne, in quanto potenziali madri, continuano a subire nel mondo del lavoro. Già che se ne parli è un risultato, è vero, ma è giunto il momento di andare oltre alle semplici parole.

E’ passato ormai più di un anno dal 7 giugno 2012, giorno in cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri presentava il primo Piano nazionale per la Famiglia, contenente un’intera sezione dedicata agli interventi da fare a sostegno del lavoro di cura familiare: il potenziamento quantitativo e qualitativo dei servizi per la prima infanzia, la revisione dei congedi parentali (possibilità di fruizione oraria dello stesso, forma di auto-finanziamento per integrare la retribuzione fino al 70%, possibilità di usufruire del congedo anche per i nonni lavoratori con contratti più stabili dei genitori spesso precari e quindi esclusi dai congedi stessi), la flessibilità degli orari di lavoro. Ancora però nessuno di questi  punti è divenuto realtà e l’intero Piano si è assestato su di un livello puramente teorico. E noi continuiamo ad aspettare. CB

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