La legge 40 e la sentenza del Tar del lazio

La legge nel determinare i criteri di accesso alla fecondazione assistita, delegittima le famiglie in cui una delle due parti della coppia non è fertile, quelle non unite da un vincolo matrimoniale, quelle formate da individui dello stesso sesso, quelle portatrici di malattie genetiche o HIV.

La legge proibisce il ricorso alle tecniche che utilizzano gameti di donatore: saranno circa diecimila le coppie costrette a recarsi all'estero o a rivolgersi a un mercato clandestino che, data la relativa semplicità delle procedure, non tarderà a diffondersi a discapito di tutte le misure di tutela della salute delle donne.

È una legge “partorita” da un parlamento maschile, da un legislatore, non a caso culturalmente e/o fisicamente maschio eterosessuale “cattolico”, drammaticamente sordo, o ignorante, delle analisi fatte dalle donne sulla complessità e peculiarità del rapporto madre-figlio nella generazione, sui principi di autodeterminazione e responsabilità femminile, sull'inapplicabilità di uno schema piattamente egualitario nel rapporto generativo.

Le linee guida che la accompagnano sono, se possibile, peggiorative dello schema originario.Contro queste ultime sono stati promossi ricorsi davanti ai tribunali amministrativi regionali .

Vi alleghiamo alcune prime considerazioni di commento alla bella motivazione della sentenza del tar del Lazio di Maria Paola Costantini (Avvocata in Firenze)

Il testo integrale è disponibile sul sito della rivista on line Federalismi

 


Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso e annullato le Linee guida nella parte contenuta nelle cosiddette “Misure di tutela dell’embrione”, “laddove statuisce che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’art. 13 comma 5 dovrà essere di tipo osservazionale”.

Sono nove i motivi per cui si richiedeva l’annullamento dell’atto regolamentare (dalle modalità di approvazione delle Linee guida, alle mancate definizioni di embrione e di infertilità, alla natura delle certificazioni, ai costi nelle strutture, al trattamento e alla conservazione dei dati sensibili relativi alle coppie). Ne saranno esaminati solo due (il sesto e il settimo) per la rilevanza che assumono le questioni affrontate e che sono state oggetto di un forte dibattito pubblico, oltre che giuridico, nonché di un referendum: la legittimità della diagnosi pre-impianto e più in generale i profili relativi alla tutela della salute delle coppie che si affidano alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per ottenere una gravidanza.

Il sesto motivo di ricorso aveva come oggetto infatti la previsione contenuta nelle Linee guida in ordine alla sola possibilità di osservazione dell’embrione (Misure di tutela dell’embrione e collegamento all’art. 13 della Legge 40). Veniva lamentato dai ricorrenti l’eccesso di potere per ingiustizia manifesta, irrazionalità e violazione dei principi comuni laddove le Linee guida nella parte citata proibivano ogni diagnosi pre-impianto a “finalità eugenetica” e aggiungevano che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, poteva essere solo di tipo osservazionale, prevedendo inoltre che qualora dall’indagine fossero state evidenziate gravi anomalie irreversibili dello sviluppo di un embrione, dopo averne informato la coppia, secondo le Linee Guida era possibile arrivare alla estinzione dell’embrione stesso. A parere dei ricorrenti, la diagnosi sull’embrione non solo non era mai citata nella normativa primaria, che non poteva essere qualificata eugenetica e che non poteva essere dedotto alcun divieto neanche dalla lettura complessiva della legge…..

….Le Linee guida sono, infatti, atto amministrativo di natura regolamentare, avente natura di circolare applicativa e immediatamente precettiva. La loro provenienza ministeriale conduce a riconoscere all’autorità amministrativa, ministeriale, solo il potere di adottare regole di contenuto tecnico e di natura eminentemente procedurale e non quello di intervenire, positivamente, sull’oggetto della procreazione medicalmente assistita che rimane consegnata alla legge.

La decisione del TAR affronta poi – rispondendo al settimo motivo proposto e in stretto collegamento con il motivo precedente – il tema ancora più stringente inerente la previsione contenuta nelle Linee guida e nella Legge 40 circa l’obbligo di creazione di un numero di embrioni comunque non superiore a tre e del loro contestuale impianto nonché il divieto della crioconservazione tranne ipotesi del tutto eccezionali (art. 14). Si è contestato al riguardo la mancata previsione nelle Linee guida anche in via esemplificativa di situazioni legate a patologie e condizioni morbose non prevedibili al momento del trasferimento degli ovociti per i quali potesse essere prevista la crioconservazione. Ciò sarebbe in contrasto con l’art. 32 comma 2 e con gli art. 2 e 3 (Costituzione Italiana) stante la compromissione della genitorialità intesa come espressione della personalità umana.

Secondo la previsione dell’art. 14 comma 2 infatti deve essere effettuato un unico impianto con tutti gli embrioni prodotti e, ai sensi dell’art. 14 comma 3, il trasferimento degli embrioni deve essere sempre effettuato, salvo i casi per cui ciò non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore, relativo allo stato di salute della donna, non prevedibile al momento della fecondazione. Dalla lettura di tale norma emerge una preoccupazione – afferma il TAR – legata più che al favorire una gravidanza, all’evitare assolutamente la crioconservazione per evitare a sua volta la perdita di embrioni.

Così facendo tuttavia e cioè imponendo una produzione limitata di embrioni e un unico trasferimento si producono due risultati: non si evita la perdita di embrioni poiché questi comunque possono venire meno laddove ne vengano trasferiti solo “con la speranza che almeno uno vada a buon fine” e senza valutare se siano idonei al trasferimento e, soprattutto, si vanno a ledere i diritti dei soggetti coinvolti, e in particolare della donna che si trova o a rischio di gravidanze trigemine o a vedere vanificata la sua legittima aspettativa di gravidanza, per lo scarso numero di embrioni. Rileva il Tar che sarebbe necessario bilanciare l’interesse di tutela dell’embrione e quello di tutela dell’esigenza di procreazione.

La Legge 40 avrebbe dovuto non escludere la possibilità di accertamento delle molte variabili che accompagnano la vicenda della procreazione assistita, quali la salute e l’età della donna interessata nonché la possibilità che la donna produca embrioni non forti – fatto del tutto diverso dalla produzione di una “razza migliore” – e cioè non idonei a realizzare il risultato della gravidanza e della procreazione…..

….Ciò rileva anche per la mancata considerazione dell’età della donna producendo una disparità di trattamento dovuta alla circostanza che situazioni diverse debbono soggiacere allo stesso trattamento predeterminato per legge. Basti pensare alla necessaria ripetizione delle tecniche di fecondazione assistita per una donna più adulta a causa del numero ridotto di embrioni prodotti.

Non di meno, essendo una pratica sanitaria, non è possibile non riconoscere al medico curante la valutazione del singolo caso sottoposto al trattamento e operare secondo la minore invasività. In ciò risiede un contrasto anche con il diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione.

Su tali ragione il TAR invia alla Corte Costituzionale, ritenendo che si tratti ormai di questioni e situazioni che interessano una percentuale in aumento della popolazione adulta in età cosiddetta fertile.

Appare evidente che le ragioni poste a fondamento della richiesta alla Consulta siano alcune di quelle invocate anche da giuristi ed operatori dopo l’emanazione della Legge. A differenza di altre pronunce, i giudici hanno ritenuto di operare una valutazione ponendo al centro il bilanciamento di interessi diversi da quelli notoriamente richiamati in tale materia vale a dire la tutela della donna e quella del concepito. Nella sentenza in oggetto sussiste un altro bilanciamento posto all’attenzione: quello tra l’interesse alla tutela dell’esigenza di procreazione e quella di tutela dell’embrione, nonché la protezione della salute e alle cosiddette “buone pratiche”. Non sussiste alcun richiamo alla procreazione responsabile e consapevole né alla 194. Ciò probabilmente è legato ai termini del ricorso proposto. Ma è possibile anche che si sia voluto dare una lettura nuova considerando le tecniche di procreazione medicalmente assistite in una chiave positiva e non negativa come risulta evidente leggendo la Legge 40. (autore M.Paola Costantini)

 

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