Lolite: questa immagine "fa male" alle ragazze

Sono stati presi in considerazione anche i contenuti e gli effetti di quanto gira sul web o quanto viene proposto attraverso l’industria cinematografica. Insieme a recenti campagne pubblicitarie e prodotti pensati per questa fascia di consumatrici.

Per citare un esempio vicino, possiamo guardare all’ultima campagna pubblicitaria che da noi sta facendo discutere: targata Dolce&Gabbana, sale alla ribalta delle cronache e se ne chiede il ritiro, per il messaggio di violenza di gruppo, nemmeno tanto sotteso, di cui è portatrice: un uomo tiene una ragazza per i polsi, fermandola a terra, mentre altri 4 stanno a guardare…

Si entra nella sfera del messaggio distorto, segnalano i ricercatori americani, quando il valore che si attribuisce ad una persona passa unicamente per il sex appeal o per il comportamento ammiccante, escludendo altre caratteristiche, e quando una persona è ritratta esclusivamente come oggetto sessuale.

Un esempio per tutti? Una pubblicità di scarpe da ginnastica dove la pop star Christina Aguilera, uniforme da studentessa e camicetta sbottonata, succhia un lecca-lecca. Stando alla ricerca, immagini come questa producono sulle ragazze effetti negativi che si manifestano in vari modi, comprese difficoltà di apprendimento, bassa autostima, danni alla salute fisica e salute mentale, ostacolando -non da ultimo- un sano e normale sviluppo sessuale.

Conseguenze negative oggi ampiamente documentate, come afferma Eileen Zurbriggen, presidente del gruppo cui è affidato lo studio e professore associato in psicologia presso l’Università della California di Santa Cruz. “Dobbiamo sostituire queste immagini -dice- con altre che raffigurino le ragazze in contesti positivi” , immagini che ne rispecchino l’unicità e le competenze.

E mentre Bill Gates, fondatore di Microsoft, e la moglie Melinda razionano l’accesso ad internet alla figlia Jennifer Katarine, di 10 anni (45 minuti al giorno a parte il tempo necessario per svolgere i compiti con l'aggiunta di 15 minuti nel fine settimana), Andrew Hill, docente di medicina psicologica presso l’università di Leeds rilancia: “Siamo una società visuale, la nostra percezione delle persone è condizionata da come queste appaiono”. “Uno dei punti chiave è la responsabilità sociale -afferma- i pubblicitari ed i media devono essere consapevoli che il prodotto che propongono e le immagini ad esso associate producono un effetto, e non è sempre l’effetto migliore”.

Il gruppo si è avvalso dell’aiuto di genitori, istituzioni scolastiche ed esperti di salute, consigliando che nelle scuole si propongano specifici programmi si studio e che il governo faccia la sua parte nel ridurre il passaggio di immagini diseducative nei media e nella pubblicità.

(Fonti: Reuters e BBC)

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