La ricerca in ottica di genere nel settore della salute e sicurezza sul lavoro

La dichiarazione dell’esistenza di una componente squisitamente femminile all’interno della disciplina del diritto alla sicurezza dei lavoratori rappresenta un traguardo normativo importante, che ha segnato il passaggio da un atteggiamento di protezione paternalistica verso la donna lavoratrice e comunque limitato al periodo della maternità, ad una concezione nuova, non più neutrale rispetto alle differenze di genere ma inclusiva delle stesse, sintetizzabile nella formula: «proteggere efficacemente senza discriminare». Questa è una delle novità introdotte dal D. Lgs. 81/2008, meglio noto come Testo Unico sulla sicurezza, spicca senza dubbio l’importanza di coniugare le politiche relative alla sicurezza e alla salute nei luoghi di lavoro  in un’ottica di genere. Sin dal suo esordio, infatti, il Testo Unico si presenta come una riforma delle normative vigenti sul tema avente l’obiettivo di garantire «l'uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati» (art. 1), per proseguire specificando che tanto la valutazione dei rischi quanto i rapporti dei medici del lavoro dovranno tenere conto « delle differenze di genere » (cfr. art. 28, 40).

All’origine del cambiamento in questione deve essere posta la trasformazione degli stessi concetti di ‘salute’ e ‘lavoro’, che ha portato a considerare anche la dimensione psicologica, non più quindi solo quella fisica, della salute dei lavoratori e ad individuare le differenze esistenti tra le diverse tipologie di lavoro, prima tra tutte quella tra lavoro retribuito e non retribuito.  Di fronte a questi cambiamenti concettuali, ecco allora emergere il protagonismo delle donne lavoratrici, sia perché più impiegate in settori dall’alto coinvolgimento emotivo, quali la scuola, la sanità e l’assistenza agli anziani, sia perché nella maggior parte dei casi, sebbene impiegate al pari degli uomini, rimangono le uniche responsabili della cura della casa, aspetto che di fatto le sottopone ad un doppio carico di lavoro. Il riconoscimento dei rischi psico-sociali legati al lavoro e la constatazione dell’alto numero di lavoratrici che ne cadono vittime, ha così portato all’interno delle politiche di SSL una rinnovata attenzione per le donne, generalmente escluse in quanto scarsamente impiegate nei settori considerati ad alto rischio di incidenti, quali l’edilizia e i trasporti, e poco colpite dalle  ‘malattie professionali’ tradizionalmente denunciate.

Accanto alle statistiche sugli infortuni, sono così apparsi nuovi dati relativi ai pericoli professionali femminili: le malattie osteoarticolari, legate alla ripetitività del lavoro e molto diffuse tra le impiegate nel settore della sanità; le malattie infettive, di facile contagio per le insegnanti e le infermiere; le violenze e le molestie, frequenti in ambienti di lavoro ad alta presenza maschile; ma soprattutto lo stress lavorativo, prodotto di una serie di fattori quali ritmi di lavoro troppo faticosi, carico di lavoro eccessivo, turnazioni pesanti, compensi non adeguati al lavoro svolto e precarietà dei contratti, il tutto esasperato dall’aggiunta del carico di lavoro domestico.

Negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento, anche lessicale, di orientamento: da un approccio volto a sostenere l'equilibrio tra lavoro e famiglia (work-family balance) si è passati ad un modello di sviluppo fondato principalmente sull'armonizzare vita lavorativa e vita privata (work-life balance). Il tema della conciliazione vita-lavoro riguarda molti aspetti della vita quotidiana: le modalità organizzative e i tempi di lavoro, le responsabilità delle donne e degli uomini nel mercato del lavoro e nel lavoro di cura, i servizi per la famiglia, l’organizzazione dei tempi e degli spazi delle città. Si tratta di un tema complesso che richiede strategie di intervento in grado di incidere contemporaneamente e in modo complementare su più fronti.

Le tematiche di genere sono state quindi oggetto negli ultimi anni di un moltiplicarsi di studi e approfondimenti da parte della comunità scientifica in generale, che hanno posto le basi per l’individuazione di lacune e campi di indagine nuovi, nelle diverse discipline. In particolare, nel settore della SSL, emerge con chiarezza che, per migliorare la prevenzione in ottica di genere, c’è bisogno di maggiore ricerca in aree caratterizzate da condizioni lavorative non-standard; vanno inoltre approfondite le esposizioni multiple, l’impatto sulla salute dell’aumento dell’intensità lavorativa nei servizi, vanno promossi programmi di riabilitazione e di reinserimento lavorativo per le donne. E’ importante adattare il lavoro al lavoratore e non il contrario, soprattutto quando il lavoratore può essere osservato da diverse prospettive (donna, giovane, immigrata, disabile).

Analizzare la dimensione di genere nella SSL diventa dunque fondamentale perché il riconoscimento delle differenze e delle diversità è essenziale nella promozione di luoghi di lavoro più sicuri e salutari. Gli effetti dei ruoli di genere sulla salute meritano di essere approfonditi per sviluppare una migliore comprensione della relazione tra salute occupazionale e ruoli sociali ed economici di donne e uomini. Un approccio sensibile al genere rende più evidente la differenza ed aiuta ad identificare e risolvere specifici problemi.

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