Prostituzione: anche se è scelta è condizionata

La prostituzione andrebbe eliminata rimovendone le cause sociali e contrastando le attività ad essa collegate. Nel nostro Paese l’adeguamento ai principi abolizionisti ha avuto luogo con la legge n. 75 del 1958 (legge Merlin, dal nome della proponente), legge il cui titolo recita significativamente ‘Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui’.

Una regolamentare per legge, oltre ad un ritorno al passato, contravverrebbe ai principi di «pari dignità sociale» e di promozione dell’eguaglianza dei cittadini in vista del «pieno sviluppo della persona umana» sanciti dall’Art. 3 della Costituzione. Basterebbe questo a chiudere per sempre ogni discorso, ma dato che la materia al 99% riguarda le donne, ancora se ne discute. Così nel 2019 la Corte Costituzionale deve sottolineare la necessità di tutela della dignità umana nella cornice dell’Art. 41, comma 2, rispondendo inequivocabilmente a chi vorrebbe una prostituzione normata per legge, tassata e sdoganata nella normalità che, NO, questa cosa non si può fare.

Il legislatore infatti «facendosi interprete del comune sentimento sociale in un determinato momento storico ravvisa nella prostituzione, anche volontaria, una attività che degrada e svilisce l’individuo, in quanto riduce la sfera più intima della corporeità a livello di merce a disposizione del cliente. Valutazioni tutte, quelle dianzi indicate, che spiegano e giustificano, dunque, sul piano costituzionale, la scelta del legislatore italiano – per nulla isolata, come si è visto, nel panorama internazionale – di inibire la possibilità che l’esercizio della prostituzione formi oggetto di attività imprenditoriale.»

Se la persona che si prostituisce viene ritenuta “soggetto debole” del rapporto e non è perseguibile penalmente, un reato sarà indubbiamente commesso invece da quei «terzi che “interagiscano” con la prostituzione altrui» (vedasi punti 6.1 e 6.2 della sentenza).

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