ODIO Sui social hanno la peggio le donne

ODIO & SOCIAL - Il Senato della Repubblica ha finalmente approvato la mozione Segre sull'istituzione di una Commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e dell'istigazione all'odio ed alla violenza. Con 151 voti favorevoli e ben 98 astensioni, tutte del centrodestra. Si astiene proprio quel gruppo che si dichiara -si spaccia?- in prima linea nella lotta alla violenza sulle le donne! Le forze astenute, Lega, FI e FdI, spiegano l’astensione: ravvisano un “tentativo di censura politica”. Lo pensa anche quella Forza Italia (con l’esclusione di Mara Carfagna che apertamente si dissocia) un tempo promotrice della famosa legge bavaglio per i giornalisti? Alle forze astenutesi ci preme ricordare che, per quanto riguarda ad esempio l’HATE SPEECH, “secondo tutti i sondaggi e le ricerche, in testa sui social ci sono LE DONNE e i migranti […] e, nel settore dei media, le vittime più bersagliate dagli haters sono i giornalisti investigativi e LE GIORNALISTE (dossier Reporters sans Frontiers 2018) a prescindere dal settore che coprono”.(*)

«I social sono ancora un territorio selvaggio del diritto, dove il far west è legittimato da sentenze come quella che ha recentemente assolto un tale che aveva pesantemente insultato la coppia Fedez Ferragni con la motivazione che sui «social si scrive fuori da ogni controllo» e quindi il reato di diffamazione non si configurerebbe. Sulla necessità di un intervento normativo si è espressa la costituzionalista Marilisa d’Amico, sottolineando la necessità di contemperare nel caso del linguaggio d’odio l’articolo 21 della costituzione sulla libertà di espressione nella cornice dell’articolo 3 sulla pari dignità di tutti i cittadini. Se è vero che, come ha sottolineato la giornalista Silvia Brena, cofondatrice di Voxdiritti, che la mappa dell’intolleranza evidenzia che ai picchi di messaggi d’odio contro le donne su twitter corrisponde anche un aumento di crimini e violenze sulle donne, ossia si passa dalle parole ai fatti, la domanda da porsi, secondo D’Amico, è questa: «E’ libertà di manifestazione del pensiero introdurre parole violente che possono essere tradotte in azione?». (*)Articolo di Paola Rizzi @ GiuliaGlobalist

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