SMARTWORKING Riflessioni al femminile

SMARTWORKING - Quando, lavorare da casa, è veramente Smart? La prime risposte all’indagine della CGIL, pubblicata sulla piattaforma Belle Ciao su Facebook, ci parlano di oltre 6mila adesioni, segno che lavoratrici e lavoratori avevano voglia di dire la loro sul lavoro da casa. Il 65% delle risposte arriva da donne. Prima nota: le foto che sul web lo rappresentano con immagini idilliache non sono realistiche. Seconda nota: siamo di fronte ad uno strumento ed una situazione da calibrare. Perché se il momento dell’emergenza ha trasferito parte del paese in quello che viene definito HOMEWORKING, non è alle attuali condizioni che si può pensare di continuare.


“Le case non sono luoghi di lavoro. Una dimensione da tutelare”(Giustina)

“Per me, mamma di due bambini piccoli, lo smart working è sopravvivenza” (Barbara)

”Evito di passare tutti i giorni tre ore sui mezzi pubblici” (Simona)

”Dopo 62 giorni di SW non vedo l’ora di tornare in ufficio” (Annalisa)

“Il lavoro da casa soprattutto per le donne è una condanna” (Maria Linda)

”Io rimarrei in Smart working tutta la vita” (Elisa)

«Sono solo alcuni dei commenti che ci sono stati consegnati durante queste settimane di “smart working” quando, dopo che in emergenza Covid il Governo ha invitato le aziende a far lavorare da remoto i propri dipendenti, migliaia di persone - da 500mila preCovid a circa 8milioni - si sono ritrovate improvvisamente a lavorare da casa senza alcuna preparazione, formazione specifica, a volte senza neanche la strumentazione adeguata.

Eppure, proprio come emerge da quei commenti, le reazioni al lavoro da casa e da remoto sono molto diverse, per la maggior parte contrapposte: da un lato quelli dello “smart working tutta la vita”, dall’altro quelli ”non vedo l’ora di tornare in ufficio”.

Dal momento che di Smart working si continuerà molto a parlare e probabilmente a praticare anche nel post Covid, e dal momento che già la Fase due con la riapertura della maggior parte delle attività ma non delle scuole o degli asili nido sta già portando soprattutto le donne a proseguire il lavoro da casa, una riflessione su questa modalità di lavoro era necessaria. Ed è per questo che l’Area politiche di genere della Cgil insieme alla Fondazione Di Vittorio ci hanno lavorato.

Un’indagine importante anche perché gli studi e le analisi condotte fino ad oggi sullo Smart working sono state per lo più promosse da aziende – per valutare il gradimento dei propri dipendenti a questa modalità di lavoro- o da parte datoriale.

Non è un caso infatti che lo Smart working venga narrato e descritto, già a partire dalla legge che lo ha istituito, come uno strumento di “conciliazione”. Avete mai provato a digitare su un qualunque motore di ricerca Smart working e selezionare l’opzione immagini? Vi appariranno soprattutto idilliache foto di giovani mamme sorridenti col loro bimbo in braccio mentre lavorano, magari in tailleur, al pc. Chi lo ha provato lo Smart working con un bimbo di pochi mesi o di pochi anni in casa, di solito non sorride e non ci trova davvero nulla o quasi di idilliaco.

Lo Smart working porta con sé dei rischi per i lavoratori e soprattutto per le lavoratrici, ed è per questo che abbiamo voluto comprenderne le criticità. In sole due settimane, il questionario è stato compilato da oltre 6mila persone- segno che le lavoratrici e i lavoratori avevano voglia di dire la loro sul lavoro da casa-, il 65% dei quali donna. Il 93% di età compresa tra i 35 e i 64 anni, con un titolo di studio medio/alto, e una localizzazione geografica compatibile col sistema Paese: il 28% nel Nord Est, il 22% nel Nord ovest, il 24% al Centro, il 27% al Sud e Isole. La maggior parte lavora nel privato e ha un lavoro a tempo indeterminato.

E già dai primi dati di taglio anagrafico, anche il nostro questionario ha confermato una realtà che ci diciamo da tanto tempo ma che non cambia: le donne che hanno partecipato all’indagine sono mediamente più istruite degli uomini ma non le ritroviamo nelle posizioni apicali. Il soffitto di cristallo si vede anche nella nostra indagine sul lavoro da casa.

Il 47% - soprattutto le donne – dichiarano che da casa le ore dedicate al lavoro di cura sono più di prima, il 39% - ancora con una prevalenza di donne - che il tempo per sé è meno di prima; che i tempi di cura e di lavoro si intrecciano; il 51% che è poco o mediamente soddisfatto del bilanciamento dei tempi di lavoro, cura e tempo libero.»

Riflessione n1 a partire dall’indagine sullo Smart working a cura di Esmeralda Rizzi, comunicatrice, Area politiche di genere Cgil

QUI l’abstract dell’indagine

Qui le slide https://bit.ly/2LIgOdc

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