I Premi Nobel per la Pace - Rigoberta Menchù

Rigoberta Menchú Tum appartiene al gruppo etnico indigeno dei Maya Quichè e non prescinde mai dalla propria identità né dalla propria natura, veste gli abiti della tradizione e fa sempre rimandi al proprio popolo: i Maya.
 
Il premio Nobel per la Pace lo riceve nel 1992 "in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene" e le viene conferito anche in virtù della denuncia contenuta nella sua autobiografia “Io, Rigoberta Menchú” (1987) del genocidio del popolo dei Maya.
 
Nel 1991 collabora con le Nazioni Unite alla stesura di una dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni.
 
Ambasciatrice Unesco, nel proprio paese, il Guatemala, lavora per operare un importante cambiamento: se dal 1954 al 1996 il Guatemala ha attraversato una sanguinosa guerra civile che non ha risparmiato torture, “sparizioni”, deportazioni e massacri di comunità rurali, nel 1999 la Menchù si spende per far processare dalla giustizia spagnola l'ex dittatore militare Efrain Rios Montt per crimini commessi contro cittadini spagnoli e per genocidio contro il popolo dei Maya. Un tentativo che purtroppo rimane senza esito.
 
“In Guatemala -dice- sono riuscita ad ottenere alcuni mandati di cattura per i responsabili del genocidio ma questa si è rivelata una lotta solitaria, ed è per questo che mi piace sentir parlare di solidarietà. Sarebbe bellissimo se tutti noi fossimo solidali per raggiungere questo obiettivo comune. Io credo nei discorsi, nel dialogo, nell’analisi perché prodotto della nostra esperienza ma credo soprattutto nell’azione: è possibile fare qualcosa insieme? Dobbiamo stilare un elenco di cose da fare. Non credo che possiamo cambiare l’umanità, noi dobbiamo invece lavorare di più insieme, far vedere che siamo onesti e che possiamo fare qualcosa nonostante le difficoltà.”
 
L'INTERVISTA
 
Sull’uso del condom, che la posizione dalla chiesa cattolica non condivide né come contraccettivo né come barriera alla diffusione delle malattie, qual’è la sua posizione?
Sono favorevole all’uso della contraccezione. Del condom in particolare, ma che sia un uso regolare perché normalmente quando la famiglia si divide i figli rimangono alle donne. […] Non necessariamente però la cosiddetta libertà sessuale occidentale è il modello migliore. Penso che si devono rafforzare i nuclei famigliari, i valori della famiglia e tutte le altre problematiche, prima di parlare del preservativo come soluzione. Le persone devono essere responsabili nell’uso del proprio corpo, tanto le donne quanto gli uomini. Si dovrebbero recuperare i valori etici della famiglia. A parte questo il condom è una soluzione ma se promuoviamo il solo uso della contraccezione e non i valori, la problematica rimane. Non si può dire semplicemente un si o un no e semplificare sull’uso del preservativo: bisogna mettere in atto una strategia sociale per ricucire il tessuto famigliare, recuperare i valori ancestrali e dell’integrità della persona. Ogni cultura ha il proprio orientamento sulle questioni della vita e della dignità personali ma credo che i valori culturali giochino un fattore determinante nella ricerca di una soluzione. Mi riferisco anche al popolo dei Maya: va bene usare il condom ma se rientra anche in una rivalutazione della dignità delle donne e degli uomini perché, condom o no, se gli uomini se ne vanno lasciano i figli a carico delle madri, e stiamo parlando di situazioni che viviamo quotidianamente. Credo sia di maggiore importanza sviluppare saldi principi.
 
Dossier Unicef: nel mondo più di tre milioni di donne all’anno sono sottoposte alle mutilazioni genitali. Come pensa si possa combattere questa pratica, causa anche di gravi problemi di salute?
Credo che nessuno possa aiutare la gente che non si organizza a livello locale. Se le stesse persone che ne sono vittime non cominciano ad organizzarsi non c’è granché modo di intervenire sulle loro realtà. Le pertinenze culturali, i programmi di sviluppo a livello locale trovano applicazione solo attraverso le persone. Credo che possiamo parlarne, far proposte, fornire idee, ma se la popolazione, se le vittime, le donne in questo caso, non si uniscono sino a formare una grande forza per recuperare la propria dignità, nessuno può far molto per loro. Noi possiamo essere una voce ed una speranza. Ma è essenziale la partecipazione a livello locale. E sono sicura che questo sia possibile dove vi sono le donne ed i giovani, dove ci sono persone coinvolte nella problematica, perché certi fenomeni si cambiano dall’interno. La sostanza stessa del problema obbliga le donne a mettersi insieme per risolvere, unite, quello che non potrebbero fare da sole. Richiamo sempre all’organizzazione perché per me è l’unico modo che può salvare la dignità di una, dieci, cento o anche di milioni di donne.
 
L’economista indiano Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank, sostiene che un mondo “dove siano assicurati alle donne uguale autorità e partecipazione sarà un mondo più sicuro e pacifico” …. Lei cosa ne pensa?
Penso che sia molto giusto perché noi donne abbiamo nelle nostre mani il potere di dare la vita. Tanto più allora le possiamo dare valore, importanza, possiamo conferirle un’etica. Credo che le donne debbano esercitare non solo un potere materiale ma anche un gran potere spirituale. Quando le donne attivano il potere della spiritualità, vanno incontro alla realizzazione del proprio mondo di pace e per questo sono fortemente convinta che le donne svolgano un ruolo importantissimo per la realizzazione di un mondo pacifico.
 
Come donna, cosa pensa si possa fare per le donne che ancora oggi nel mondo non hanno una voce?
Credo che le donne debbano incontrarsi, organizzarsi, lottare per i propri bisogni, nel modo più sicuro e pacifico possibile, anche per i propri figli. Devono chiedere di avere accesso alle opportunità: se le donne stesse non si uniscono per darsi questa possibilità, nessuno la offrirà mai loro. Io ho imparato che la vita è molto dura per una donna, perché cresce i figli e cura la famiglia, ed alla fine è lei che rappresenta l’unica garanzia per i figli. Ho visto infatti molti mariti emigrati in cerca di lavoro che non sono mai tornati lasciandosi alle spalle mogli e figli. Per le donne allora sono importanti la forza morale e l’autostima. Pensare “Posso andare avanti. Non importa se è difficile, io vado avanti!” Se una donna è salda può garantire una famiglia equilibrata anche se non c’è un uomo. Credo davvero che si può, ma le donne devono essere salde e forti per tutta la loro vita.
 
Se fossi tua figlia o tua nipote, quale insegnamento vorresti che traessi dall’esperienza della tua vita?
Ho sempre desiderato una figlia senza mai poterla avere… Credo che ogni persona abbia un percorso individuale, un proprio destino che non si può forzare. Per quanto si possa spiegare, dare un’idea, suggerire, indicare ciò che si crede di segno positivo e ciò che si ritiene negativo, rimane il cammino personale. Quando qualcuno cerca di indicare ai giovani una certa direzione, magari loro fanno il contrario. Il concetto di libertà allora è fondamentale. Nella famiglia, con i figli come tra i genitori. Credo si debba essere tutti liberi.
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