Quarta parte della storia di Margherita

"Trascorriamo la giornata tra telefonate con amici e parenti e qualche visita in serata. Arriva il pomeriggio e lo psichiatra ancora non si vede. Verso le 20.00 nel corridoio del reparto vedo la dottoressa Lopizzo. Lo comunico con stupore alla mia compagna di sventura e confrontiamo le nostre informazioni: la dottoressa che quel mercoledì mattina era in sala operatoria, doveva essere andata via nel pomeriggio per tornare di nuovo in ospedale la mattina seguente. Decido di verificare. La incontro nel corridoio, è proprio lei. Chiedo come mai fosse ancora in ospedale. Mi spiega che il primario (dottor Matyas Finsinger) l’aveva trattenuta per una sostituzione nonostante lei avesse aveva fatto presente che il giorno dopo c’era in previsione un appuntamento con due signore che devono fare una IVG: se avesse fatto la notte il giorno dopo non avrebbe potuto essere in ospedale. Il primario non cambia la sua decisionee la trattiene in servizio nonostante altri 24 ginecologi fossero teoricamente disponibili (su un totale di 26, esclusi lei e il medico malato) sostenendo che alle due IVG avrebbe pensato personalmente.


La tabella di marcia ora prevede che giorno dopo, alle 8.30 arrivi lo psichiatra e successivamente alle 9.00 la dottoressa ci avrebbe messo la prima candeletta. Poi sarebbe andata via e successivamente si sarebbe occupato di noi il primario. Andiamo a letto innervosite e impaurite, chiediamo di prendere un farmaco che ci faccia dormire perché siamo troppo agitate per riuscirci da sole. Le gocce purtroppo non fanno molto effetto, la notte sarà caratterizzata da brevi sonni e lunghi momenti di veglia a rigirarsi nel letto. Quella notte come anche le successive abbiamo sentito il vagito di diversi bambini nati nelle sale parto affianco al reparto.


La mattina dopo non succede nulla, alle nove vediamo la dottoressa che va via e noi non sappiamo che cosa ci accadrà. Solo una cosa si chiarisce nell’arco della mattinata: finché non facciamo il colloquio con lo psichiatra la procedura non si può attivare. Intanto arrivano la mia amica Cristina (che quel giorno aveva preso un permesso dal lavoro e visto che ha un contratto da precaria se non lavora, non la pagano!!!) e la mia ginecologa, che stando fuori al reparto seguono tutta la vicenda. Ritorno a chiedere informazioni sulla presenza dello psichiatra in reparto e mi dicono che è atteso per la mattinata ma non si sa a che ora arriverà, potrebbe arrivare anche a fine turno, quindi verso le 14.00. Il tempo passa, la nostra agitazione aumenta.


Verso le 10.00 in reparto passa la visita del medico di turno, le stanze sono a sei letti, quando il medico entra nella nostra stanza, legge le cartelle di ciascuna paziente, se ce n’è bisogno alcune le visita, quando arriva in prossimità dei nostri letti non apre nemmeno le nostre cartelle e dice: “ah! queste sono le signore che devono fare l’interruzione di gravidanza, di loro si occupa il primario”.


Finalmente intorno alle 11.30 arriva lo psichiatra che ci accoglie subito nella stanza della caposala una per volta e ad entrambe dice più o meno le stesse cose. Ci fa presente che quello che ci stanno facendo è pazzesco, non è accettabile che il primario cambi il turno all’unica ginecologa non obiettrice di coscienza e ci invita a denunciare tutto. Ci aggiunge anche che questa è una situazione che può verificarsi solo a Roma, lui ha lavorato anche in altre città e quello che vede qui non lo ha riscontrato da nessun altra parte.


Ci racconta una storia agghiacciante accaduta qualche giorno prima: è arrivata in ospedale una donna che era stata violentata, questa signora ovviamente ha chiesto che le fosse somministrata la pillola del giorno dopo, ma la farmacia dell’ospedale non ce l’aveva e non c’era nessun ginecologo che in quel momento gliela poteva prescrivere perché tutti obiettori di coscienza. Per risolvere la situazione è stato lo stesso psichiatra che l’ha prescritta e la madre di questa signora è uscita dall’ospedale per andarla a comprare in farmacia e portarla alla figlia. Poi lo psichiatra fa il suo mestiere e ci prescrive degli antidepressivi e dei farmaci per farci dormire da prendere nei giorni successivi solo se ne sentiremo l’esigenza, in ogni caso si rende disponibile per qualsiasi esigenza e ci lascia il suo telefono cellulare.


Dopo questo colloquio decidiamo di cercare il primario e di parlare con lui. Andiamo dalla caposala: ci informa che il primario si trova nella sua stanza, è appena fuori del reparto; per e bisogna chiedere alla sua segretaria. Entriamo nella stanza della segretaria che non c’è, la porta che dalla stanza della segretaria accede in quella del primario è aperta e il dottore è dentro. Busso alla porta aperta e chiedo di poter entrare. Il dottore non ci guarda nemmeno in faccia, mentre mi presento e chiedo di potergli parlare. Con molta freddezza ci fa accomodare. Ci presentiamo come le due signore che sono in ospedale per una IVG programmata quella mattina, gli diciamo che sappiamo che la dottoressa Lopizzo è dovuta andare via per un cambio di turno (non facciamo alcun riferimento al fatto che il responsabile di tale cambio è proprio lui). Lo informiamo che abbiamo appena fatto il colloquio con lo psichiatra e che adesso l’unica cosa che sappiamo è che lui è delegato a seguire il nostro caso, si innervosisce immediatamente e ci dice “io non sono delegato da nessuno io qui sono il responsabile …” mi scuso immediatamente per aver utilizzato un termine inadeguato, ma proprio perché lui è il responsabile vogliamo sapere da lui adesso cosa accadrà.


La sua irritazione nei nostri confronti è ancora più evidente, ci dice che aver fatto il colloquio con lo psichiatra non significa che adesso è tutto pronto perché la legge prevede dei passaggi “burocratici”, ha utilizzato proprio questo termine, che vanno rispettati e che richiedono tempo, quindi per oggi non accadrà nulla, la mattina dopo ci sarà la dottoressa e allora solo a quel punto si potrà cominciare l’induzione, in ogni caso ci ammonisce dicendo le seguenti parole “signore comunque non prendete impegni per i prossimi giorni perché ci potrebbero volere molti giorni anche tre o quattro perché nessuno può sapere di quanto tempo avrà bisogno ognuna di voi per rispondere alla terapia”.


Faccio presente il nostro stato psicologico e di quanto sia penoso per noi sottoporci a questa pratica e che i contrattempi non ci aiutano, lui risponde che la sofferenza non è solo nostra ma di tutte le persone che stanno in ospedale, lui compreso." (Continua)

 

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