Dalla Nigeria le nuove schiave

Sono colloqui difficili quelli che la cooperativa sociale Be Free svolge o tenta di svolgere nel Cie di Ponte Galeria con le donne nigeriane appena giunte da Lampedusa. Quando una di loro cerca di interagire con le operatrici, altre connazionali si avvicinano alla ragazza inveendo, strattonandola, tentando di impedire in tutti i modi il contatto. Il livello di organizzazione e capillarità raggiunto dalla criminalità internazionale che controlla la tratta delle schiave del sesso è altissimo tanto che anche all'interno dei Centri le donne "importate" destinate alla prostituzione in Italia non sono mai lasciate sole. Telefonini e maman sorvegliano e non perdono mai di vista la loro fonte di guadagno, che hanno fatto arrivare direttamente da sperduti villaggi africani, soprattutto nigeriani.

Il business. Il "valore economico" della tratta ammonta ad una cifra tra i 152 e i 228 milioni di dollari annuali, secondo Unodoc, United nations office on drugs and crime, che ha sede a Vienna. Ogni anno vengono "trafficate" in Italia tra le 3.800 e le 5.700 donne provenienti dalla Nigeria, e in misura assai minore da Sierra Leone, Ghana, Cameroon e Guinea. Unodc afferma inoltre che il traffico da questi specifici paesi africani costituisce oltre il 10% del mercato del lavoro sessuale coatto in tutta l'Europa occidentale.

Il prelievo. Uomini e donne nei villaggi d'origine, individuano le donne appartenenti alle fasce più disagiate della popolazione: orfane o prive di rete sociale, vittime di situazioni di maltrattamento e violenza all'interno della famiglia, ragazze senza alcuna risorsa economica o a rischio di vita in quanto sorelle, figlie o mogli di attivisti che lottano per il diritto alle terre confiscate. I reclutatori le irretiscono con false promesse di una vita migliore. A fare opera di reclutamento è talvolta la maman stessa che provvederà a prostituire e a sfruttare le ragazze nel luogo di destinazione. In altri casi, sono assoldate direttamente dai trafficanti che poi contattano la maman in Italia per proporle l'affare.

Le case di transito. Nel lungo viaggio dalla Nigeria alla Libia le donne vengono fatte alloggiare nelle "Case di transito" in Chad e Niger. Generalmente in questa fase non sono ancora state costrette a prostituirsi e non sono consapevoli di quello che sarà il loro destino.

"Ho vissuto in questa casa con Brother e altri 4 uomini e 2 donne tutti nigeriani per 4 mesi. Era lui a pagare il cibo e il resto per me; lui durante il giorno andava a lavorare come camionista mentre io era libera di uscire ed entrare in casa quando volevo" "Brother" - fratello - è l'appellativo con il quale solitamente il primo adescatore viene chiamato, utilizzando lo stesso lessico familistico che si usa con le donne controllanti definite "Maman".

Le case chiuse in Libia. L'ultima parte del viaggio africano riguarda la Libia. Qui le donne vengono passate ad un altro sfruttatore, che sovente gestisce delle case chiuse a Tripoli, e sono costrette per mesi, a volte per anni, a prostituirsi. Se si ribellano vengono picchiate e torturate fisicamente e psicologicamente.

"In questa casa eravamo più di 30 ragazze tutte di origine nigeriana, tutte costrette a prostituirci in attesa di essere poi mandate in Italia. Sono stata là per circa 4 mesi, dovendo andare a letto con una media di 5 uomini al giorno. Anche qualora avessi intuito prima le sue cattive intenzioni mi sarebbe stato impossibile da sola tornare indietro, a quel punto l'unica possibilità era andare comunque avanti".

Le torture. Nei "bordelli" le ragazze non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali; se oppongono resistenza vengono picchiate e torturate. Una delle violenze consiste nel farle camminare o sedere sul petrolio bollente. E', inoltre, molto comune che le ragazze rimangano incinte dei loro clienti (sono infatti costrette ad avere rapporti sessuali senza preservativo) e siano poi vittime di aborti clandestini, procurati mediante calci nello stomaco e cocktail di medicinali da ingerire.

Generalmente la maman non vuole che le ragazze siano sfruttate in Libia nei "bordelli" avendo interesse a che le stesse siano mandate il prima possibile in Italia; se infatti la maman si accorge che le ragazze vengono fatte prostituire in Libia spesso smette di pagare i trafficanti.

La falsa fuga e l'Italia. Spesso ricorre il racconto di una medesima modalità di fuga dalle case chiuse: un cliente-fidanzato che pagando più soldi del dovuto per i rapporti effettivamente consumati estingue il debito in anticipo. Successivamente i due si imbarcano insieme per l'Italia. Durante la permanenza dei Cie l'uomo contatta la ragazza telefonicamente e l'aspetta all'uscita. In realtà il fidanzato spesso non è altro che il tramite con la maman, inserito stabilmente nel racket dello sfruttamento sessuale.

Una volta giunte nel nostro Paese, quindi, la catena dello sfruttamento lungi dall'essere spezzata continua durante la permanenza nei Centri grazie all'uso di telefoni e di donne "complici" degli sfruttatori. All'uscita sole e disorientate non possono far altro che cadere nelle mani dei loro aguzzini che le avviano alla prostituzione sulle strade italiane.

Il woodoo. Oltre alla costrizione fisica e alla paura, spesso le ragazze nigeriane non denunciano i loro sfruttatori e non parlano con le operatrici sociali all'interno dei Cie per un ricatto psicologico: la minaccia derivante dagli effetti di "nefasti" del woodoo. Il rito avviene prima della partenza per il viaggio verso i luoghi nei quali si le donne verranno avviate alla prostituzione, e molte credono davvero che se tradiranno il patto stretto con i trafficanti cose terribili capiteranno a loro stesse o ai familiari. (28 luglio 2009 - Repubblica.it)

 

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