Judith Butler: oltre il genere per ripensare tutte le libertà possibili

Certe perdite mi minacciano, se perdo l'altro, chi sono io? Il mio corpo reclama diritti non solo miei. La nazione mi garantisce o mette in pericolo la mia sopravvivenza? Dove come e perchè un confine può essere attraversato? Sono stata separata dagli altri e mi devo mettere in relazione con gli altri: io sono legata a te nella mia separatezza. Sono cittadina di una idealizzazione del crimine in guerra. Esiste la dipendenza politica, perchè dipendiamo da certe persone piuttosto che da altre? Perchè la violenza degli stati è giustificata? Perchè è ingiustificata per chi si oppone?Abbiamo orrore morale di fronte alla violenza. L'orrore morale è umanità? Perchè certe morti non ci toccano, non le percepiamo come morti? Ed invece certe vite diventano vivibili e degne di essere protette? Cosa permette che una vita diventi visibile e cosa ci impedisce di vederla tale?


Ricco e stimolante il suo pensiero rappresenta da sempre un caleidoscopio utile a ripensarsi e ripensare le logiche identitarie. In Corpi che contano (trad. 1996) Butler applica strategicamente al sesso la lettura critica abitualmente rivolta al genere. La femminista di Berkeley – colpendo al cuore il pensiero della differenza – propone di pensare al sesso nella sua materialità corporea come norma costruita dalla capacità performativa del discorso. Butler attacca così la norma eterosessuale che, nel definire ciò che è “normale” e “naturale”, stabilisce un ordine gerarchico, patriarcale, egemonico. La critica alla norma vigente giunge al suo culmine nell’ultimo lavoro apparso in Italia dal titolo piuttosto esplicativo: La disfatta del genere (trad. 2006). In esso, proseguendo l’opera di decostruzione del pensiero della differenza di matrice europea, l’autrice s’interroga sulle possibilità, materiali ed immaginative, corporee e simboliche, della vita possibile oltre ogni pretesa di naturalità ed universalità.

Questa stessa attenzione alle “condizioni di possibilità” caratterizza la produzione butleriana più recente che, alla luce degli eventi dell’11 settembre 2001, confluisce in una teoria della relazione fondata su un’etica nonviolenta. Lontana da un pacifismo semplificatorio Butler ci ricorda, in quanto umani, che se da un lato siamo tutti vulnerabili, dall’altro sembrano esistere diversi “gradi di umanizzazione”, come se alcune vite fossero degne di essere celebrate ed altre destinate a rimane in un limbo di invisibilità.


Come corpi, siamo esposti agli altri. Le parole non cambieranno il corso della guerra, eppure si fanno ostinata vita, vulnerabili sopraffatte infuriate spossate, diventano conseguenze politiche, comunicabili, in mezzo alla solitudine fisica”.

 

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