MICHELA MURGIA Anima libera e libere parole

GOCCE DI MEMORIA - La scrittrice femminista Michela Murgia è morta per una malattia all’età di 51 anni. Molti i ricordi dell’autrice, anche da parte di chi in vita l’ha contrastata e detestata: l’ipocrisia viaggia sul web e cavalca l’onda del cordoglio con messaggi che, prendendo le distanze dal suo pensiero, trovano il modo di promuovere sé o, peggio, si fanno stratagemma per evitare la critica di non aver postato almeno due parole.

Michela Murgia, nata a Cabras il 3 giugno 1972 e deceduta a Roma il 10 agosto 2023, conosceva le parole. E' stata autrice di libri di saggistica e narrativa, pensatrice, filosofa, intellettuale, opinionista per l’Espresso, conduttrice televisiva per RaiTre con la rubrica di recensioni letterarie nella trasmissione Quante storie. Il suo pensiero, la sua storia e l'impegno a tutto campo che l'ha sempre contraddistinta, rimangono nelle pagine che ha scritto, nei video che ha lasciato e nei concetti che ha sottolineato. Il femminismo. Il pacifismo. La religiosità. Il mondo LGBTQ+. Storie e tradizioni di Sardegna. Le sfumature dell'animo umano. La vita. La dolce morte. I titoli sono tanti, come tanti sono stati i riconoscimenti.

Ma se la lista dei suoi scritti è lunga, noi la vogliamo ricordare per l’impegno al contrasto della violenza maschile sulle donne.

Come quando nel 2013 pubblicò un pamphlet contro il femminicidio, scritto a quattro mani femminili con Loredana Lipperini, dal titolo L'ho uccisa perché l'amavo: falso! Una presa di posizione nei confronti della disattenzione che si riserva alla questione delle donne ammazzate perché donne, coprendola, diluendola e anche mistificandola con linguaggi e cronache che troppo spesso giustificano e assolvono chi aggredisce e uccide. Una denuncia degli stereotipi che intossicano il pensiero delle persone e le parole dei media, su un tema che sembra non riuscire mai a trovare le parole per penetrare  anime e coscienze.

«Delitto passionale. Raptus. Gelosia. Depressione. Scatto d'ira. Tragedia familiare. Perché lei lo ha lasciato, chattava su Facebook, non lo amava più, non cucinava bene, lavorava, non lavorava. Nascondendo la vittima, le cronache finiscono con l'assolvere l'omicida: una vecchia storia, nata in tempi lontani e ancora viva fra noi. Per questo bisogna imparare a parlare di femminicidio. Tutti, non solo media. Dobbiamo farlo noi. Dobbiamo trovare le parole» (dalla presentazione del libro).

Parole che troppo spesso alle donne, sulla scena pubblica, vengono tolte, con l'intimazione a stare zitte. Malcostume che Murgia mette a nudo quando, dopo un episodio pubblico vissuto in prima persona, scrive il libro Stai zitta e altre frasi che non vogliamo sentire più. Una riflessione su come il voler zittire le donne sia una pratica «non solo maleducata, ma soprattutto sessista, perché unilaterale; invano cerchereste una donna che abbia pubblicamente tentato di imporre il silenzio a un uomo».

Michela Murgia si ricorda tenendo vivi il suo lavoro e il senso profondo delle parole che ha scritto per raccontare, denunciare, mediare e per aprire -sempre!- una via alla riflessione.

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