Diritto alla vita: Iran lo nega alle donne

IRAN - C'è una donna condannata a morte per un pregiudizio, per un sospetto che si chiama presunto adulterio. Sakineh Mohammadi Ashtiani, 42 anni, è stata condannata nel 2006 da un tribunale islamico perché accusata di adulterio. Nel 2007 la Corte suprema iraniana confermava la condanna alla lapidazione, di fatto poi sospesa perché nelle istituzioni si era aperto un dibattito sulla legittimità della stessa condanna e sulle sue ricadute di immagine sulla repubblica. Sospensione breve però perchè la sentenza verrà eseguta il 21 agosto. Un caso controverso, al centro di una mobilitazione internazionale senza precedenti che ha dato vita ad una petizione per salvarla. L'Italia si aggiunge al coro di voci istituzionali levatesi in Francia, come anche in Brasile, ed attraverso la fondazione Rocco Barnabei, con sede a Siena, invia un appello all'ambasciatore iraniano a Roma, Bahram Ghasemi: "La nostra fondazione, che persegue tra le sue finalità l'abolizione della pena di morte e l'affermazione dei diritti umani, si associa all'appello lanciato a livello internazionale da insigni personalità del mondo politico e culturale per salvare Sakineh dalla pena di morte. Ci rivolgiamo a lei e alle autorità iraniane affinché venga sospesa e revocata la condanna a morte per lapidazione, fissata per il 21 agosto con l'imputazione di presunto adulterio e complicità nell'omicidio del marito". Nell'appello si chiede anche il riesame del caso, e che Sakineh Mohammadi Ashtiani "veda riconosciuta definitivamente la sua innocenza e cessino tutte le azioni di violenza, tortura e violazione della dignità che questa giovane donna ha subito e subisce in nome dell'affermazione di una giustizia che la colpisce ancora più duramente in quanto donna che nel suo Paese si vede negato il riconoscimento dei diritti umani anche più elementari".

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