La storia di Margherita: “abiezioni” di coscienza ed interruzione di gravidanza volontaria

“Mi spiega il genetista -scrive Margherita- che nella maggioranza dei casi queste sono gravidanze che si interrompono da sole e comunque anche nei rari casi in cui vengono portate a termine il bambino muore entro pochi mesi. Non c’è altro da fare che interrompere volontariamente la gravidanza. Nei giorni precedenti avevo già discusso questa eventualità con la mia ginecologa ed avevo appreso che abortire dopo la 12^ settimana di gravidanza significa partorire. Sì, entro quel tempo la donna viene addormentata, viene praticata un’aspirazione e successivamente il raschiamento, ma dopo la 12^ settimana invece bisogna effettuare un “miniparto” che viene indotto attraverso l’applicazione di ovuli che stimolano la dilatazione del collo dell’utero fino alla fuoriuscita del feto. Successivamente viene effettuato un raschiamento in anestesia generale. Durante il “miniparto” però bisogna essere attive come in un parto “normale”.


In ogni caso la ginecologa sottolinea quanto sia importante evitare di arrivare troppo in là con la gravidanza, perché più le settimane passano e più è lungo e difficoltoso il miniparto. Quindi condivide in pieno il suggerimento del S. Anna di fare la villocentesi in modo che, se ce ne fosse bisogno, ci si troverebbe non troppo avanti con la gravidanza (la villocentesi si può effettuare già a partire dalla 11^ settimana, diversamente l’amniocentesi non prima della 16^). Appena il genetista mi comunica la terribile notizia, chiamo subito la mia ginecologa per cominciare a mettere in moto la macchina relativa alla interruzione volontaria di gravidanza (IVG).


Mi viene detto che c’è una brava dottoressa all’Ospedale S. Giovanni, la chiama e si accordano per un incontro. Mercoledì 14 marzo (14^ settimana di gravidanza) mi reco in ospedale per un lungo e approfondito colloquio durante il quale la dottoressa prima si informa sulla mia storia (quante gravidanze, eventuali problemi, ecc.), poi mi spiega come avverrà l’induzione: vengono applicate nel collo dell’utero le cosiddette “candelette” che sono ovuli di prostagaldina, sostanza che induce le contrazioni dell’utero. Un ciclo di induzione prevede un massimo di cinque candelette che vengono applicate ogni quattro ore e di solito è difficile che sia necessario arrivare al massimo consentito. Mi dice che potremo cominciare l’induzione il successivo giovedì (22 marzo). Sono sconsolata, speravo in un appuntamento più ravvicinato, ma lei mi fa notare che è un bene per me che lei stessa mi possa assicurare una presenza costante per tutta la giornata: questa dottoressa è l’unica ginecologa che al S. Giovanni effettua le IVG dopo la 12^ settimana.


Questo significa che tutti gli altri ginecologi sono obiettori di coscienza per cui se lei mi dovesse avviare l’induzione e poi andare via, nessuno assicurerebbe la continuità. In questo modo, invece, essendo lei il giovedì successivo di guardia dalle 9 di mattina alle 9 di sera, si avrebbe il tempo sufficiente per completare il ciclo di induzione. Inoltre, sottolinea che se anche provassi a contattare altre strutture a Roma, strutture dove pure è possibile effettuare una IVG dopo la 12^ settimana di gravidanza, sicuramente non sarei riuscita a velocizzare i tempi. In definitiva lei mi prepara un foglio per il ricovero con il quale mi dovrò presentare il mercoledì successivo (21 marzo) alle 8 di mattina al pronto soccorso maternità. Nel frattempo lei avrebbe avvertito la caposala del reparto. Quel giorno mi faranno il prelievo per le analisi, e farò il colloquio con lo psichiatra (così come previsto dalla legge), persone mi assicura di provata bravura ed umanità.” (Continua)

 

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